(IL GATTOPARDO - Tomasi di Lampedusa)
Questa è l’emblematica frase con la quale Tancredi cerca di rassicurare lo zio Principe Fabrizio Salina che la sua decisione di unirsi alle truppe piemontesi dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia del maggio 1860 alla fine si tramuterà in un vantaggio per l’aristocrazia siciliana. Famiglia Salina che apparteneva a quell’antica nobiltà ormai conscia di quanto fosse vicina la fine dei propri, tanti quanto ingiusti, privilegi.
Ma prima di procedere con le mie considerazioni sull’unità, forse potrebbe essere utile una carrellata sui due millenni di storia precedenti che riguardano quel tratto di terra, paragonabile ad un ponte, che collegava la “ricca e potente” Europa alla “tutta da esplorare e colonizzare” Africa. (vedi "Mare Nostrum")
L’Italia compie 150 anni
In questo 2011 ricorre il centocinquantesimo anniversario dello “stato unitario” ovvero la storia del “risorgimento” che ha inizio con il passaggio di Vittorio Emanuele II da ultimo re di Sardegna a primo re d'Italia (1861) e dall’espansione del piccolo regno fino alla costituzione della Repubblica Italiana, espansione molto più simile ad una conquista territoriale che ad una reale unificazione.
In questo processo di “aggregazione” del nuovo stato Italiano un ruolo rilevante svolge Garibaldi e le sue camicie rosse che nell’ottobre del 1860 in prossimità di Teano consegnano a Vittorio Emanuele II la sovranità sul Regno delle Due Sicilie. (episodio storico noto come "incontro di Teano").
Ed allora torniamo a Tancredi ed alla sua frase "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!" che a distanza di un secolo e mezzo sembra essere lo specchio della storia d’Italia (e non della sola Sicilia) dalla “spedizione dei Mille” ai giorni nostri.
Una storia ricca di ideali e di patriottismo, di guerre e di eroi, ma anche, e purtroppo, storie di malgoverno, corruzione, collusione dei politici con la criminalità organizzata.
Storie di ieri che, nella loro attualità, sembrano storie di oggi. Cambiano i nomi ma le situazioni sono sostanzialmente le stesse.
Ecco, posti in maniera provocatoria, alcune anticipazioni di come le vicende sembrano riproporsi immutate nel tempo:
“Quel denaro veniva convogliato verso i più importanti uomini politici del Paese, che lo utilizzavano per finanziare le loro campagne elettorali” - Sembra “tangentopoli” del 1992, incece è quella del 1892 (scandalo della Banca Romana).
“Picciotti” della mafia inseriti presso la potente famiglia …. come “cocchieri” (Rapporto Sangiorgi sulla mafia - 1898-1900) - La “potente famiglia” non è quella che spontaneamente potrebbe venire in mente, bensì quella dei Florio!
Alla famiglia Florio il suo potente status le permetteva di rifiutare gli inviti di comparire davanti al Questore di Palermo E. Sangiorgi. - Che il rifiuto a comparire di fronte alla legge è da considerare come uno dei “contributi” della Sicilia all’Italia unita?!
Giovanni Giolitti, lo statista più “longevo” della storia recente dell’Italia, si giovò dell’operato degli “uomini d’onore” per rafforzare il controllo governativo dell’elettorato meridionale.
Ma ci sono differenze rispetto ad oggi?
Per non parlare dei “poteri speciali” del Prefetto Mori rimosso e promosso Ministro quando puntò il dito verso gli alti livelli della mafia o della “Legge Acerbo” del 1923 e voluta da Benito Mussolini allo scopo di assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare (i tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti).
Che le cose siano destinate a restare immutate lo intravediamo anche in altri settori della vita (privata?) degli uomini pubblici cui piace far sfoggio del fascino del potere sulle donne.
La presenza di figure femminili vicino ai potenti fa parte integrante della storia oltre che della mitologia.
Erano divine, ma a volte anche terrene, come le innumerevoli amanti di Zeus; regine (Cleopatra), o belle ed audaci cortigiane (nei loro salotti si imbastivano strategie capaci di influenzare gli stessi regimi politici) e fin’anche imperatrici (Messalina).
Ma restando all’Unità d’Italia, e senza voler esprimere un giudizio di merito circa la moralità di alcuni personaggi pubblici di primo piano, ricordo alcuni nomi di appartenenti al gentil sesso che buona parte della stampa accosta a re e presidenti del consiglio di ieri e di oggi. In rigoroso ordine alfabetico abbiamo: Laura Bon, Margherita Grassini (di famiglia ebrea!), Ruby-Karima, Noemi Letizia, Claretta Petacci e Rosa Vercellana (detta La Bella Rosina).
Questa volta però si intravede un certo cambiamento sostanziale: da amanti più o meno celebri e raffinate in grado di influenzare gli stessi regimi politici ed i destini di interi popoli, oggi si passa a più comuni “escort” (accompagnatrici che non disdegnano l'utilizzo del sesso) dai nomi a volte esotici, che fanno da contraltare alla falsa etica di chi spesso esorta ufficialmente alla famiglia ed alla moralità.
Per correttezza di informazione riporto anche un paio di esempi per i quali non sarebbe onesto dire che nulla è cambiato in quanto in questi 150 anni c’è stata sicuramente una notevole evoluzione.
Parlando di Governi, siamo passati dalle severe e compassate espressioni dei ministri del regno che incutevano un certo timore reverenziale a quelle più gioiose ed appariscenti (nei gesti, nel linguaggio e nell’abbigliamento) dei ministri attuali espressione di una gaudente mentalità nella quale sono in molti a non riconoscersi.
Un’altra diversità si riscontra in un tema di estrema e drammatica attualità cento anni fa come oggi:
La massiccia emigrazione meridionale, iniziata dopo l'unità d'Italia, si accentuò agli inizi del '900. Emigravano prevalentemente gli uomini (donne e bambini restavano in Italia) che si dedicavano ai lavori spesso i più faticosi ed umili con un unico intento: mettere da parte il gruzzoletto e poi tornare in patria.
Oggi siamo noi oggetto di flussi migratori da parte di popolazioni extracomunitarie ma ci indigniamo e da più parti si chiede di porre un freno a tale fenomeno, magari giungendo agli eccessi di chi ha proposto l’uso delle armi per affrontare le “carrette del mare” straripanti esseri umani in fuga dai loro paesi con la speranza di una vita dignitosa.
Al di la della concretezza del cambiamento, sul quale sicuramente ognuno ha la sua opinione, bisogna porsi una domanda su cui riflettere attentamente prima di rispondere. Quanto è lecito parlare di “unità” nell’accezione di “unificazione” e “concordia”?
Oggi in questo stato italiano che sta festeggiando il 150° anniversario della sua unità, esistono movimenti e partiti ispirati da tesi indipendentiste/federaliste che in alcuni casi sfociano nel più zotico separatismo (ostilità verso i festeggiamenti, ostruzionismo verso l’inno nazionale, vilipendio del tricolore, e così via)
Partendo dall'estremo nord e giungendo al profondo sud abbiamo tanti punti di conflitto che ci ricordano le medioevali focose dispute (o rivalità) fra guelfi (papato) e ghibellini (imperatore) od ancora fra i comuni di Siena o Lucca contro quello di Firenze.
Oggi si chiamano Südtirol, Lega Nord , Movimento indipendentismo sardo, Movimento Neoborbonico, Movimento separatista Siciliano , lo Stato della Chiesa. Alcune di esse sono delle grosse realtà del territorio Italiano, altre hanno una valenza poco più che folcloristica. Per maggiori dettagli vai nella sezione "Tendenze separatistiche"
Nella ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità, il Governo ha proclamato il 17 marzo giorno di festa nazionale, la festa dell’unità! Un evento ampiamente condiviso? Macché!
Se può trovare una parvenza di giustificazione la voce contraria della presidente degli industriali, non altrettanto può dirsi per ministri e parlamentari leghisti che hanno affermato che il 17 marzo la Padania ha ben poco da festeggiare considerando l'Unità non come un valore, semmai come un problema.
L’assurdo è che stiamo parlando di una forza di governo numericamente rilevante i cui ministri hanno giurato fedeltà all’ITALIA ma che poi se ne dissociano anche con plateali oltraggi alla bandiera tanto che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo a Reggio Emilia nella giornata di apertura delle celebrazioni ufficiali per i 150 anni dell'Unità d'Italia ha dovuto affermare: «Dato che nessun gruppo politico ha mai chiesto una revisione dei principi fondamentali della Costituzione, è pacifico che c'è l'obbligo di rispettarli. E tra questi principi c'è il rispetto del tricolore».
Analogo l’atteggiamento del presidente della provincia autonoma di Bolzano sostenitore che i problemi della sua regione siano iniziati proprio con l'Unità. Anche in questo caso merita il plauso l’intervento del Presidente Napolitano che ha ricordato che un presidente di una provincia (Luis Durnwalder) ne rappresenta tutta la popolazione e quindi non può parlare in nome di una supposta «minoranza tedesca».
Da queste vicende sembra riemergere quella natura egoistica che per secoli ha privilegiato il frazionamento e la coltivazione degli interessi locali.
Il Risorgimento prima e quindi la lotta antifascista e la nascita di una democrazia costituzionale sembrava avessero creato quella cultura civile nazionale che trasformava gli abitanti della penisola in Popolo Italiano.
Ma oggi sono diversi i segnali che ci dicono come vadano indebolendosi i valori civici che dovrebbero palesarsi nel rispetto delle istituzioni e nel senso di appartenenza alla comunità nazionale indipendentemente dalle diversità religiose, culturali e politiche.
Ma perché questo evidente declino? Certo non è tutto imputabile ad un’unica motivazione, bensì ad un insieme di concause con particolare riferimento:
• ai frequenti tentativi di revisionismo di quell’antifascismo che è uno dei fondamenti della Costituzione Italiana,
• alla contestuale presenza nella coalizione governativa di esponenti del Movimento Sociale Fiamma Tricolore (discendenti diretti del MSI fondato dai fascisti reduci della Repubblica Sociale Italiana),
• al tentativo di appannare i ricordi della Resistenza partigiana, cioè di quel fenomeno che portò le forze sane dell’Italia ad opporsi, dopo l'8 settembre 1943, al nazifascismo dando vita alla guerra di liberazione italiana. Vale la pena di ricordare che la Resistenza vide l'impegno di gente di ogni estrazione sociale ed orientamento politico (cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, monarchici, anarchici) i cui partiti sarebbero stati gli artefici dell’attuale Costituzione e dei primi governi del dopoguerra,
• al “secessionismo”, mascherato da federalismo, più volte invocato dalla lega nord e che porta il capo dello Stato a Marsala per la rievocazione della spedizione di Garibaldi (11 maggio 2010) a pronunciare parole dure contro i penosi giudizi liquidatori sull'Unità: «Chi si trova a immaginare o prospettare una nuova frammentazione dello Stato nazionale, attraverso secessioni o separazioni comunque concepite, coltiva un autentico salto nel buio». ed ancora: «Si può considerare solo penoso che da qualunque parte, nel Sud o nel Nord, si balbettino giudizi liquidatori sul conseguimento dell’Unità, negando il salto di qualità che l’Italia tutta, unendosi, fece verso l’ingresso a vele spiegate nell’Europa moderna», (Da rimarcare l’infelice assenza dei ministri della Repubblica Bossi e Calderoli che hanno perso una grande occasione per rilanciare l’unità d’Italia mostrando il loro reale volto di separatisti.)
• al decadimento della politica (ridotta a mera operazione di marketing dove è strategico l’apparire piuttosto che l’essere) e dei costumi (dove tutto è lecito pur di ottenere visibilità e successo) e si può ben dire che "La pubblicità' e' l'anima della politica",
• all’esplosione d un consumismo sfrenato che porta alla ricerca di facili guadagni spesso in barba alla morale ed al comune senso del pudore,
• al prevalere dell’indifferenza che sovrasta la solidarietà e porta ad atteggiamenti che sfiorano il razzismo,
• al degrado dell’informazione dove si assiste al dominio incontrastato del potere mediatico (in mano a pochi potenti) cui si contrappone il roboante silenzio della massa degli onesti.
• al degenerare della cultura di Italica tradizione a vantaggio dei reality dove fanno audience (e quindi raccolta pubblicitaria) donne giovani, belle (meglio se disponibili) ma di cervello spesso vuoto,
• al dilagare di una mafiosità (e parlo di mentalità mafiosa, non di mafia) che da tempo ha varcato lo stretto trasferendosi lì dove esiste il potere politico ed economico, a discapito dei proclami governativi.
Mentre scrivo queste note arrivano dei segnali che aprono alla speranza. Mi riferisco alla lezione di storia data in TV da Roberto Benigni sulle origini e sul significato dell’inno di Mameli (ma perché non divulgarlo nelle scuole ?), ma principalmente ai continui richiami del Presidente della Repubblica Napolitano all’Unità: ed ai suoi valori: «Mi auguro che in tutte le parti del Paese, come Milano, Venezia e Verona, ci si impegni affinché, al pari della Romagna, sappiano come divennero italiane»…. «Anche il nord deve avere coscienza di come nacque l'Italia»… all’importanza della coesione nazionale ed al ruolo «non passivo, ma da protagonista» della Sicilia nel moto unitario, ed il contributo del Mezzogiorno «storicamente indiscutibile».
In queste mie considerazioni sull’unità d’Italia sono partito dalla Sicilia, quella ottocentesca del “Gattopardo”, per tornare alla Sicilia di 150 anni dopo con le celebrazioni dello “sbarco dei mille” a Marsala.
Riuscendo ad estrapolare dalla storia quella che può essere considerata una naturale evoluzione dei tempi, alcune domande potrebbero sembrare di stretta attualità oggi come allora:
Perché un non sopito spirito di indipendentismo, se non addirittura di separatismo, resta vivo ancora adesso in una minoranza di Siciliani?
Perché i politici locali, ampiamente rappresentati nel governo nazionale, sembrano più interessati ad ottenere la compiacenza del capo del governo e la riconferma della poltrona piuttosto che lavorare per salvaguardare gli interessi della stragrande maggioranza di Siciliani onesti anche se negligentemente silenziosi?
Perchè la mafia, nonostante i ripetuti e ricorrenti proclami “governativi” di vittoria a tutto campo, rafforza sempre più il suo spazio di influenza assumendo una forza tale da condizionare la vita economica finanziaria e politica dell’intero paese ed imbibendo di mafiosità la mentalità di banchieri, politici ed imprenditori?
In sostanza: E’ cambiato qualcosa di significativo, per la Sicilia con il passaggio dai Borboni al nuovo Regno d’Italia ed alla Repubblica odierna?
Quanti eventi si sono verificati in questo lasso di tempo!
Storie di eroi e di briganti, di paladini della legalità e di arroganti mafiosi, di illustri statisti e di mediocri politicanti, per non parlare delle vergognose ed ignobili connessioni fra criminalità organizzata, imprenditoria e politica! Storie che da un secolo e mezzo si intrecciano e si susseguono senza soluzione di continuità.
Nelle pagine che seguono si parla di:
• Brigantaggio - Nobiltà, borghesia e contadini, rivoluzionari e briganti, alleanze e contrapposizioni di interessi. Incomprensibili alleanze che si annodano o si disfanno in funzione degli interessi contingenti. L’illusione di una nuova idea politica, morale e religiosa della giustizia, della proprietà, della libertà e la disillusione con le brutali repressioni di uno stato di polizia, come ebbe a definirlo lo stesso Crispi. Ingredienti tutti per un cocktail forte, frizzante se non addirittura esplosivo dal quale è difficile districarsi e che ha “sconvolto” il mezzogiorno d’Italia e la Sicilia in particolare, nel primo decennio dallo sbarco dei Mille a Marsala ed i cui effetti arrivano fino ai giorni nostri.
• Mafia - E’ proprio dall’Unità d’Italia che comincia a crearsi quell’inestricabile intreccio fra mafia e politica che nessun governo (o regime) ha mai saputo o voluto debellare.
• Questione Meridionale - «Sappiamo bene che c'era già una "Questione meridionale" ma sarebbe rimasta come una vaga "leggenda nera" dello Stato italiano senza l'apporto degli scrittori meridionali.» (Leonardo Sciascia)
• Flash 150 anni mafia – Un rapido cenno che cerca di coprire 150 anni di crimini spesso impuniti, di collusioni politiche, di lunghi silenzi della Chiesa ufficiale, di centinaia e centinaia vittime di mafia che hanno modulato il calendario siciliano. Dalle parole del giudice Giovanni Falcone: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande" ai proclami di chi oggi è al potere ma che poi si oppone alla riapertura dei processi che potrebbero portare ai veri mandanti delle stragi del ’92 o alle affermazioni che "La mafia è più famosa che potente"!