Mafia: dalle origini al bandito Giuliano

Flash di mafia nell'Italia unitaria








- Mafia, le sue origini e quelle del nome;



- 150 anni di crimini spesso impuniti che hanno condizionato la vita e lo sviluppo della Sicilia e dei Siciliani.



- 150 anni di collusioni politiche (locali e nazionali) e di omertà dei potenti cui a volte veniva, e viene tuttora, comodo minimizzare o addirittura "negare" l'esistenza stessa della mafia;



- 150 anni di lunghi silenzi della Chiesa ufficiale (negli anni passati solo il Cardinale Pappalardo prenderà una netta posizione contro!);



- Le parole di disperazione e speranza di Rosaria (vedova dell'autista di Falcone Vito Schifani), ai funerali di Giovanni Falcone e della sua scorta;



- I proclami di chi oggi è al potere e che ci libererà dalla Mafia in 4 anni (ma che si oppone alla riapertura dei processi che potrebbero portare ai veri mandanti delle stragi del '92) ed alle affermazioni che "La mafia è più famosa che potente" (!?! );



- 150 anni di vittime di mafia che hanno cadenzato il calendario siciliano (forze dell'ordine, magistrati, sindacalisti, parroci, imprenditori, politici, giornalisti, personaggi illustri e sconosciuti testimoni di mafia, adulti, donne e bambini.)



A ricordo di tutte queste vittime della mafia valgano due frasi del giudice Giovanni Falcone:







"La mafia è un fenomeno umano e quindi ha un principio, una evoluzione ed avrà una fine”.



"Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande”.





















Mafia : le Origini

































Il termine mafia ha origini incerte. Ci sono studiosi che lo fanno risalire ad una parola araba mahyas (spavalderia, vanto aggressivo) o marfud (reietto), ma tale origine è messa in discussione dal fatto che non è attestato l'uso del vocabolo in questione prima della seconda metà del XIX secolo [Altri studiosi lo legano alla rivolta dei Vespri Siciliani del 1282 che cacciò gli Angioini (francesi) dalla Sicilia. Una leggenda dice che la sigla del motto degli insorti "Morte Alla Francia Italia Anela" sia diventata MAFIA].



E' nella Palermo del 1658 che ci si imbatte in Caterina la Licatisa, "nomata ancor Maffia". Una fattucchiera, il cui nome compare in un elenco ufficiale di eretici riconciliati dall'Atto di Fede dell'Inquisizione Siciliana. Per la prima volta, dunque, il termine "mafia" esce allo scoperto, in forma di soprannome, a indicare la spavalderia, l'infedeltà di una strega. E, tuttavia, occorrerà attendere ancora un paio di secoli per ritrovarlo sulle pagine di un dizionario.



Goethe, grande conoscitore della Sicilia, nel 1787, così ebbe ad affermare: " … senza vedere la Sicilia non ci si può fare un'idea dell'Italia, è in Sicilia che si trova la chiave di tutto"; non si può non riconoscere che la Trinacria è l’isola del sole, purtroppo però ha parecchie ombre (mafia, mafiosità, disoccupazione, senso dell'onore perduto, …)



Il concetto di "mafioso" venne portato anche in teatro nella commedia "I mafiosi della Vicaria" del 1860.

Se l'origine del vocabolo è incerto, non ci sono incertezze circa l'effettiva comparsa del fenomeno in Sicilia.

il viceré don Pedro da Toledo riferiva, in una relazione del 1536, che molti banditi erano stati assoldati dai nobili del luogo (Sicilia) che li utilizzavano come piccolo esercito personale. Ed è proprio allora che si origina il problema della mafia che sarà destinato a condizionare per secoli l'economia siciliana.

Ferdinando IV nel 1812, pressato dagli inglesi, concesse la costituzione ai siciliani, abolendo i privilegi feudali. A tale riforma si collega l'origine della mafia, braccio armato dei baroni che la utilizzavano come un potere, intimidatorio e violento, parallelo a quello dello stato e mal gestito dal potere centrale borbonico.

in un rapporto inviato al Ministero di Giustizia di Napoli nel 1838 dal procuratore generale di Trapani Pietro Ulloa, emerse per la prima volta ufficialmente in un atto giudiziario la parola "mafia". Le "mansioni " della mafia vengono definite come . . . l'intermediazione tra ladri e derubati, tra braccianti e proprietari, la composizione delle liti (sostitutiva della Legge), la protezione degli affiliati, la corruzione dei funzionari dello Stato.





Ecco adesso una carrellata di fatti di mafia che hanno segnato la vita di Sicilia dall'unità d'Italia fino ad oggi.

























Dall'unità allo scandalo della Banca Romana







Nel 1860, quando la Sicilia divenne parte del costituendo Stato italiano, la Mafia assunse, di fatto, il controllo dell'isola. Dopo tale data non ci fu paese della Sicilia occidentale che ne restò immune. I mafiosi divennero migliaia…

Il 21 ottobre 1860 si svolse la votazione per l'annessione della Sicilia al Piemonte. Con la collaborazione della mafia, venne creato un clima intimidatorio. [Su una popolazione di 2.400. 000 abitanti, votarono soltanto 432.720 cittadini (il 18%). Dei votanti, 432.053 votarono "Sì" e 667 "No"]



Nel primo studio sulla mafia ("Pubblica sicurezza in Sicilia nel 1864" pubblicato dal nobile siciliano Nicolò Turrisi Colonna) è possibile riscontrare molti elementi comuni al modus operandi delle attuali organizzazioni criminali di tipo mafioso: racket della protezione, assassinio, dominio del territorio, competizione e collaborazione tra bande nonché il riferimento al "codice d'onore ".



Nel 1871, il magistrato Diego Tajani denunciò coraggiosamente le collusioni dello Stato con la mafia. Soprusi, torture ed ingiustizie venivano commessi dalla mafia in connivenza con le autorità governative. Tajani ordinò l'arresto del questore di Palermo Giuseppe Albanese e aprì un'inchiesta sul prefetto garibaldino Giacomo Medici.

In Sicilia l'acqua è da sempre cosa di mafia. Felice Marchese, fontaniere, venne ucciso nell'ottobre del 1874 nella guerra tra " Giardinieri" e "Stoppaglieri": la prima guerra di mafia documentata. Da allora i pozzi, come tutte le ricchezze, sono in mano ai capifamiglia. [Centotrenta 'anni dopo, nonostante sull'isola piovano 7 miliardi di metri cubi di acqua, il triplo del necessario, il 36,6% del territorio siciliano rischia la desertificazione.]



Intorno al 1875, il concetto di mafia comparve anche nelle lingue tedesca, francese e inglese, ….

Nel 1875 si promosse la prima inchiesta parlamentare sulla mafia in Sicilia. Ma i risultati furono quasi nulli perché tutti gli interrogati negavano l'esistenza di quella organizzazione criminale.. il Marchese di Roccaforte il primo dicembre del 1875, quando depose davanti la Commissione Parlamentare d'Inchiesta in Sicilia sulla Mafia, disse "Questo insulto continuo per cui un individuo si deve vergognare di essere Siciliano: diventa una disgrazia l'essere Siciliano".



La mafia si consolida come struttura del crimine organizzato subito dopo il 1876, con l'avvento della Sinistra al potere. Già due anni prima le votazioni regionali nell'isola videro una schiacciante vittoria dei deputati di sinistra, e il contributo di noti esponenti legati ai clan mafiosi fu determinante.



Nel 1883 (Petrosino) si arruolò nella polizia di New York. A lui solo viene attribuita la grande intuizione di aver capito che la mafia, in New York, aveva le sue radici in Sicilia, tant'è vero che intraprese un viaggio in Italia, diretto appunto in Sicilia, per infliggerle il colpo mortale.



Per Giuseppe Pitrè (1889), studioso siciliano delle tradizioni popolari, la mafia è "la coscienza del proprio essere, l'esagerato concetto della forza individuale, unica e sola arbitra di ogni contrasto…il mafioso vuole essere rispettato …”. (riporto queste affermazioni per correttezza di informazione, anche se personalmente non condivise.)

Nel 1891, con l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, la Chiesa aveva tracciato le linee della sua dottrina sociale, ma in essa non vi è traccia di un suo impegno sul fronte della lotta alla criminalità mafiosa



Nel 1892, fallirono i due principali istituti di credito italiani. Uno dei due, la Banca Romana, aveva falsificato banconote per milioni di lire. Quel denaro veniva convogliato verso i più importanti uomini politici del Paese, che lo utilizzavano per finanziare le loro campagne elettorali. Lo scandalo assunse proporzioni inquietanti e diversi presidenti del consiglio non erano intervenuti perché corrotti. Fra i beneficiari dei prestiti vi erano 22 parlamentari, fra cui Francesco Crispi. Il processo del 1894 si concluse con l'assoluzione degli imputati l'istituzione della Banca d'Italia . . . (Tangentopoli cent'anni prima!)

















Collusione fra mafia e politica agli inizi del '900







Palermo, 1 febbraio 1893: Emanuele Notarbartolo, ex sindaco ed ex direttore del Banco di Sicilia, nel corso di un viaggio in treno, viene ucciso con 27 coltellate dai mafiosi Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, su mandato, pare, del deputato colluso Raffaele Palizzolo. Tutti conoscono il mandante e il movente; eppure la macchina della giustizia si inceppa in un meccanismo di omertà e corruzione. Tale omicidio venne considerato il primo delitto di mafia e mise in evidenza la collusione tra mafia e politica.

"Per combattere e distruggere la mafia in Sicilia, è necessario che il governo italiano cessi di essere il capo della mafia." (Onorevole Napoleone Colajanni di Enna, famoso per essere stato il primo a denunciare in parlamento lo scandalo della Banca Romana nel 1893).



Nel 1893, i Fasci siciliani sono stati il primo esempio di movimento con un programma di lotta per migliorare le condizioni di vita in Sicilia e per rinnovare le amministrazioni locali, in una cornice di forte impegno contro la mafia. Ma i possidenti chiesero al governo un intervento militare diretto e Crispi, presidente del consiglio, il 3 gennaio 1894 decretò lo stato d'assedio, sciogliendo le organizzazioni dei lavoratori, arrestandone i capi e restaurando l'ordine con le armi.

Nel discorso tenuto alla Camera il 4 luglio del 1896, Colajanni analizzò le cause della questione siciliana riproponendo la sua analisi. Tra le cause politiche ed amministrative Colajanni ricordava, tra l'altro, che la mafia legata alla grande proprietà ...

Già nel 1900 don Luigi Sturzo scriveva che "la mafia ha i piedi in Sicilia ma la testa forse è a Roma”.



Ermanno Sangiorgi, nominato questore di Palermo nel 1898, in un suo rapporto testimonia che all'epoca i governanti dell'Italia sapevano con precisione cos'era la mafia e sottovalutando (o addirittura ignorando) il problema la aiutavano a sopravvivere. Il rapporto (1898-1900) contiene il primo quadro completo della mafia ed è il primo documento ufficiale che definisce la mafia come un'organizzazione criminale fondata su un giuramento, la cui attività principale è il racket della protezione. Sangiorgi capì che gli omicidi di mafia implicavano leggi, decisioni collegiali, e un sistema di controllo territoriale, e scoprì che le due dinastie (i Florio e i Whitaker) vivevano fianco a fianco con la mafia, da cui ricevevano protezione ma da cui erano al contempo minacciate. Scoprì inoltre che i cadaveri dei mafiosi occultati nel Fondo Laganà appartenevano a dei "picciotti" che la mafia aveva inserito presso la famiglia Florio come cocchieri (e non stallieri. Cambia la forma ma non la sostanza!)



Alla famiglia Florio il suo potente status le permetteva di rifiutare gli inviti di comparire davanti a Sangiorgi (anche il rifiuto a comparire davanti all'autorità giudiziaria non è una novità!)

Per gli amanti delle corse automobilistiche stiamo parlando della famiglia cui si deve l’istituzione della famosa “Targa Florio”



Nel 1899 la camera dei deputati autorizzò il processo contro Raffaele Palizzolo come mandante dell'assassinio Notarbartolo. Il processo cominciò nel maggio 1901. Intanto il Sangiorgi aveva perso il suo appoggio politico a Roma e molti imputati furono rilasciati il giorno dopo. Sangiorgi commentò laconicamente la sentenza: "Non poteva essere diversamente, se quelli che li denunziavano la sera andavano a difenderli la mattina."

Il 30 luglio 1902 Palizzolo fu condannato a trenta anni di reclusione. Ciò portò all'esplosione di vive reazioni di protesta da parte dei siciliani, compresi autorevoli intellettuali quali Pitrè e De Roberto. Tali proteste, unite all'interessamento da parte di Cosa Nostra della vicenda Palizzolo, portarono la sentenza in Cassazione dove venne definitivamente annullata (23 luglio 1904). Palizzolo ritorna a Palermo acclamato dal popolo siciliano che preferì lasciare un delitto insoluto piuttosto che vedersi attribuito l'appellativo di "mafioso". (sembra un’anticipazione di quanto avverrà negli anni 1985-90 quando il Presidente della prima sezione penale della Suprema Corte di Cassazione assume, di fatto, il monopolio del giudizio di legittimità sulle sentenze di mafia cancellando circa cinquecento sentenze di mafia, guadagnandogli il soprannome l'ammazza-sentenze. Invalida, tra l'altro gli ergastoli per i fratelli Michele e Salvatore Greco, ritenuti i mandanti dell'assassinio del magistrato Rocco Chinnici. . . e non ritiene attendibili le parole del "pentito dei due mondi" Tommaso Buscetta, che aveva disegnato l'organizzazione mafiosa come una piramide al cui vertice stava una cupola formata dai superboss.)



don Vito Cascio Ferro, dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti, era rapidamente cresciuto negli affari criminali e con i modi del gentiluomo di rango, nel 1909, era ormai diventato il capo riconosciuto della mafia siciliana, eleggeva plebiscitariamente persino un deputato al parlamento nel collegio di Bivona: l'on Domenico De Michele Ferrantelli.



Nel 1909, nella piazza Marina di Palermo, la mafia uccide Joe Petrosino, tenente della polizia di New York, venuto in Sicilia per trovare le radici di quella mafia che sta per dilagare a New York. Del delitto viene accusato don Vito Cascio Ferro, il quale però se la cava perché il deputato Domenico De Michele Ferrantelli gli offre un alibi di ferro.



In un pubblico comizio, tenuto a Corleone il 31 ottobre 1910, il massimo dirigente del partito socialista Bernardino Verro rivolge queste parole al sindaco Vinci e ai suoi assessori: "Voi siete riusciti a rendere Corleone il più disgraziato dei comuni della Sicilia, lasciandogli solo il triste vanto di essere la sede della Cassazione della mafia siciliana". Bernardino Verro sindaco socialista di Corleone e per vent'anni leader del movimento contadino in tutta la vasta zona del Corleonese ed uno dei dirigenti socialisti più influenti della Sicilia, fu ucciso dalla mafia nel 1915.



















































La mafia ed il fascismo







Cesare Mori, nella sua prima missione in Sicilia, si distinse per i suoi metodi energici e radicali. Quando i giornali parlarono di "Colpo mortale alla mafia", Mori dichiarò ad un suo collaboratore: " Il vero colpo mortale alla mafia lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d'india, ma negli ambulacri delle prefetture, delle questure, dei grandi palazzi padronali e, perché no, di qualche ministero".



Don Giorgio Gennaro, ucciso nel 1916 nella borgata palermitana di Ciaculli, regno della dinastia mafiosa dei Greco, aveva denunciato il loro ruolo nell'amministrazione delle rendite ecclesiastiche.



Nel 1922 si gettavano a Milano le basi della marcia su Roma. Il capo mafia Don Calogero Vizzini era molto scettico sul risultato di tale marcia, tuttavia, allo scopo di garantire alla mafia una posizione di riguardo nell'eventualità di un successo fascista, volle avere un colloquio privato con Mussolini per discutere del " futuro benessere dell'isola". I due s'incontrarono a Milano e alla fine di quel colloquio don Calogero ottenne dal capo del fascismo di finanziare la colonna che partendo dalla Sicilia e dalla Calabria, avrebbe marciato su Roma



Vittorio Emanuele Orlando, uomo politico siciliano liberale, presidente del Consiglio del Regno d'Italia, che nel 1924, durante la campagna elettorale che lo vedeva schierato al fianco dei fascisti, gridò in piazza, durante un comizio: "Se essere mafioso significa essere un uomo d'onore e di rispetto, allora io sono mafioso".



Il Duce nel 1925 invia Mori a Palermo. Il funzionario si merita l'appellativo di "prefetto di Ferro". La lotta del fascismo alla mafia è di tipo prevalentemente militare, senza alcun intervento di carattere sociale. Anzi: i latifondisti si riappropriano del potere che avevano perduto.

Con l'avvento del fascismo e l'andata in Sicilia del prefetto Mori, la mafia si occulta, si immerge. "Calati Junco Ca passa la china", piegati giunchi che passa la piena, dice il motto mafioso.

Data fondamentale della carriera di prefetto fu per Mori il 22 ottobre del 1925 quando fu nominato da Benito Mussolini prefetto di Palermo con poteri straordinari in tutta la Sicilia con l'incarico di porre fine definitivamente alla mafia. (Attinenza con i recenti poteri straordinari di Bertolaso?)



Mussolini, uscito trionfante dalle elezioni amministrative del 6 aprile del 1925, in Sicilia doveva la sua affermazione all'influenza della mafia che aveva appoggiato il neodeputato Alfredo Cucco, leader del fascismo siciliano e membro del direttorio nazionale del partito.



Il 1926 è, per Cesare Mori, l'anno più esaltante della sua vita. I giornalisti, gareggiano fra loro nel tessere le lodi dell'uomo che ha sbaragliato la mafia in Sicilia. "Nessun governo, dall'Unità d'Italia, era mai riuscito a compiere ciò che Mussolini ha realizzato in pochi mesi." Ai palermitani riuniti al Teatro Massimo dichiara: "L’offensiva che ho sferrato sarà portata inesorabilmente fino alle sue estreme conseguenze" (ma, anche ieri come oggi, non aveva fatto i conti con i politici!)



Lo spettacolare colpo di apertura di questa guerra è l'assedio di Gangi, la notte del 1° gennaio 1926, quando polizia e carabinieri avevano proceduto a stringere la cittadina in una morsa, arrestando tutti coloro che erano sospettati di collaborare con i banditi.

Nel 1927 Alfredo Cucco viene espulso dal PNF "per indegnità morale" e sottoposto a processo con l'accusa di aver ricevuto denaro e favori dalla mafia.



Ben presto Mori arrivò a colpire i referenti politici dei mafiosi, ormai infiltratisi all’interno dell’organizzazione politica fascista. Le conseguenze per il fascismo isolano non tardarono e furono devastanti.



Il 27 gennaio 1927, sui muri di Palermo apparve un manifesto recitante "La Direzione del Partito Nazionale Fascista dispone:

1. il Fascio di Palermo è sciolto....

2. … “



Dopo la grande retata di "pesci piccoli" realizzata da Cesare Mori, Mussolini stesso nel 1929 lo rimosse dal suo incarico richiamandolo a Roma (verrà nominato senatore) perché il prefetto aveva iniziato a indagare sulle complicità tra mafiosi e locali politici fascisti (per Bertolaso si è ventilata la nomina a Ministro!)

Dopo il suo congedo, vi fu ben presto una recrudescenza del fenomeno mafioso in Sicilia. Come scrisse nel 1931 un avvocato siciliano in una lettera indirizzata a Mori: "Ora in Sicilia si ammazza e si ruba allegramente come prima. Quasi tutti i capi mafia sono tornati a casa per condono dal confino e dalle galere..." ..venivano assolti Cucco e tutti gli altri membri del direttorio fascista rinviati a giudizio. La sentenza veniva festeggiata con una grandiosa manifestazione di piazza al grido di "Viva la giustizia fascista".



Il 31 gen 1933 nasce a Corleone Bernardo Provenzano noto come "Binnu 'u tratturi" (bernardo il trattore, per la violenza con cui stroncava le vite umane) ... tra i picciotti più fidati di Stefano Bontade. Ma questa è ormai storia contemporanea!























La mafia e lo sbarco degli alleati in Sicilia







Abrogati nel 1942 i "Decreti Moro" parecchi mafiosi ritornarono in Sicilia, avviarono contatti con gli "Alleati" che incominciarono ad arruolare uomini d’origine siciliana. Per mezzo dei pescherecci, i mafiosi esercitarono lo spionaggio nel Mediterraneo; poi fornirono notizie sulle infrastrutture dell'isola, la dislocazione e la consistenza delle truppe dell'Asse in Sicilia.







Nel febbraio 1943 inizia ad Algeri la preparazione dello sbarco in Sicilia con la collaborazione di elementi di spicco della mafia italo-americana fra cui Lucky Luciano appositamente liberato dal carcere in America e portato in Italia.

Agenti speciali reclutati fra gli italo-americani vicini alla mafia vengono infiltrati in Sicilia. Avanzando nell'isola, il Comando militare Usa nominò sindaci e amministratori locali i capi mafia stile dei mafiosi nei gangli del potere isolano.

Il 13 luglio del 1943, tre giorni dopo lo sbarco anglo-americano in Sicilia, un aereo USAF mentre sorvolava Villalba, lanciò un foulard con una “L” cucita e con dentro un messaggio di Lucky Luciano diretto al boss siciliano don Calò Vizzini, con la precisa richiesta di "cosa nostra" in America alla mafia siciliana di permettere e garantire una tranquilla avanzata ai soldati statunitensi della VII Armata del generale Patton diretti a Palermo.



Perfino lo sbarco degli Alleati in Sicilia del 14 luglio 1943 venne realizzato col preliminare appoggio delle leve mafiose trapiantate in America. Queste, avvicinate dall'OSS (Office of Strategic Services, antenato della CIA), stabilirono contatti con i lontani compaesani Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo, in modo che Charles Poletti, il capo delle truppe americane d'occupazione in Italia, potesse contare al proprio arrivo su appoggi sicuri e supporto logistico. Interprete di fiducia del colonnello americano Poletti fu Vito Genovesi che ben presto diventerà “capo dei capi” di Cosa Nostra.



La mafia non era affatto morta! Il 20 luglio del 1943 i carri armati americani furono accolti a Villalba dai ragazzini e da una colonna di paesani, che andava come in processione, guidata da don Calò. (Calogero Vizzini). Per investitura ufficiale degli americani Vizzini è stato il primo sindaco di Villalba dopo la liberazione.

Prima dell'armistizio dell'8 settembre 1943 in Italia operavano già due organizzazioni di intelligence, una tedesca e l'altra americana. Ma in Sicilia la più diffusa ed efficiente realtà spionistica era la mafia.



Dopo il 1943, la mafia siciliana ha goduto di una ripresa straordinaria, grazie, soprattutto, alle facilitazioni concesse dagli Alleati, per ricompensarla del fondamentale aiuto dato loro ai tempi dello sbarco. La Repubblica Italiana non nasce al Nord con la Resistenza, ma in Sicilia, nel 1944, con lo sbarco alleato, in cui la mafia, per tanti versi, fu protagonista di primo piano.



Il 16 settembre 1944, a Villalba, Calogero Vizzini guida personalmente il gruppo di mafiosi che durante un comizio sparano a Girolamo Li Causi, leader comunista che invitava i contadini a occupare le terre incolte. Interessante in proposito una lettera del console americano a Palermo, Alfred T. Nester, del 27 novembre 1944. In essa si legge: " Durante gli incontri segreti tra il generale Castellano ed i capi della mafia, il cav. Calogero Vizzini aveva con sé, come consigliere, il dr. Calogero Volpe, medico. Vizzini è il padrone della mafia in Sicilia".



Giuseppe Genco Russo, spedito al confino ai tempi del prefetto Mori, nel ’46 venne insignito dell'onorificenza di Cavaliere della Corona d'Italia e successivamente fu candidato nelle liste della DC a Mussomeli.



Calogero Vizzini fu il primo importante sostenitore mafioso della DC. Alla fine della guerra molti boss mafiosi incarcerati, od al confino, furono rimessi in libertà, anche con il suo interessamento. Don Calò diede quindi un contributo importantissimo alla rinascita della nuova mafia.



Arrigo Petacco,scrittore, giornalista e storico italiano, scrive: «[La mafia] si risvegliò infatti soltanto nel 1943 in coincidenza con l'arrivo degli americani. Don Calogero Vizzini, capo supremo della nuova mafia, fu visto percorrere l'isola a bordo di una carro armato americano: indicava agli alleati gli uomini giusti da mettere alla guida dei comuni e delle province.” Gli americani apprezzarono molto Calogero Vizzini non solo per il potere politico che andava assumendo, ma anche per la sua vena contemporaneamente antifascista e anticomunista.















































Il primo dopoguerra e

Salvatore Giuliano







Nel 1946, nel giro di poche settimane, in Sicilia la mafia uccise 39 sindacalisti. Soltanto ad anni distanza i loro nomi sono stati riconosciuti nell'elenco dello Stato dei morti di mafia. I mandanti di quegli omicidi non sono stati perseguiti nemmeno quando sono stati individuati!



La strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947 (11 morti e 56 feriti tra braccianti, donne e bambini che celebravano la festa del lavoro) maturata negli ambienti agrari e mafiosi della Sicilia ed eseguita dalla banda di Salvatore Giuliano, aprì squarci inquietanti, rivelando intrecci perversi con settori inquinati. I mandanti sono da ricercare fra alti esponenti politici, grandi latifondisti e mafiosi.

Del resto allo stesso modo avevano tramato in Italia allorché puntando tutto, anche con l'aiuto della mafia, sul separatismo siciliano, si erano preparati a proclamare una Sicilia "indipendente'' nella eventualità della vittoria elettorale del PCI nel '48.



Epifanio Li Puma, socialista e dirigente sindacale, assassinato dalla mafia nel 1948.



Nel 1948, con le lotte tra i braccianti che si battono per l'assegnazione delle terre dei latifondi incolti, e i rappresentanti del potere mafioso che curano gli interessi dei più importanti possidenti della zona, fra i quali cominciano a muovere i primi passi criminali Luciano Liggio ed i giovanissimi Totò Riina e Bernardo Provenzano. E’ l’inizio dell'ascesa di questa nuova generazione di mafiosi.

Il 10 marzo 1948, dopo essere stato rapito dalla Mafia siciliana, fu ucciso il sindacalista Placido Rizzotto. impegnato a favore del movimento contadino per la rivendicazione dei terreni coltivati. Quattro giorni dopo, a causa di un’iniezione fattagli dal Dr. Navarra, morì Giuseppe Letizia, un giovane pastore di soli tredici anni, unico testimone oculare del rapimento e dell'omicidio di Placido Rizzotto.







Il 14 luglio 1950 viene ucciso (il bandito) Salvatore Giuliano – Fu una figura molto controversa: di umili origini, la sua latitanza inizia nel 1943 quando uccise un giovane carabiniere che lo aveva fermato mentre trasporta due sacchi di frumento destinati alla borsa nera.

Giuliano si dà alla macchia costituendo una banda intorno alle montagne di Montelepre (PA). Nel 1945 ce lo ritroviamo come Colonnello dell'EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana). Anche la sua fine è densa di ombre ed esistono almeno cinque differenti versioni sulla sua morte (coperta dal segreto di stato).

"Perché avete fatto uccidere Giuliano? Perché avete turato questa bocca? La risposta è unica: l'avete turata perché Giuliano avrebbe potuto ripetere le ragioni per le quali Scelba lo ha fatto uccidere. Ora aspettiamo che le raccontino gli uomini politici, e verrà il tempo che le racconteranno.” (Girolamo Li Causi. Intervento alla Camera dei deputati nella seduta del 26 ottobre 1951)



Cosimo Cristina (Termini Imerese, 11 agosto 1935 – 5 maggio 1960) è stato un giornalista italiano assassinato dalla mafia.

Salvatore Carnevale, sindacalista Bracciante e sindacalista socialista di Sciara (PA) a 31 anni venne assassinato il 16 maggio 1955 all'alba mentre si recava a lavorare in una cava di pietra. Carnevale aveva dato molto fastidio ai proprietari terrieri per difendere i diritti dei braccianti agricoli